10 gennaio 1693: Il terremoto che distrusse la Sicilia

Tra il 9 e l’11 gennaio 1693, la Sicilia venne colpita da uno dei più terrificanti terremoti di sempre, assieme a quello del 1169 e quello del 1908, questo sisma che colpì l’isola, fu uno dei peggiori, nonché il più forte mai registrato fin ora in Italia, con una magnitudo pari a 7,3; inoltre è stato classificato al 23° posto come tra i più disastrosi nella storia dell’umanità.

Il sisma rase al suolo 45 centri abitati, coprendo una superficie nella Sicilia Orientale, pari a 5600 kmq, uccidendo approssimativamente 60.000 persone, e venne seguito anche da un maremoto che colpì Messina e le coste Ioniche, secondo gli studiosi anche le Isole Eolie.

“L’orribilissimo terremoto dell’anno 1693 è stato, senza alcun dubbio, il maggiore il più pernicioso che tra tanti avesse danneggiato la Sicilia, e sarà sempre l’infaustissima sua memoria luttuosa negli annali dell’isola, tanto per la sua durazione, quanto per la rovina portata dappertutto. Il giorno di venerdì 9 gennaio nell’ora quarta e mezza della notte tutta la Sicilia tremò dibattuta dalla terribile terremoto. Nel Val di Noto e nel Val Demone fu più gagliardo: nel Val di Mazara più dimesso[…]. Ma la domenica 11 dello stesso mese, circa l’ore 21, fu sconquassata tutta la Sicilia con violentissimo terremoto, con la strage e danno non accaduti maggiori ne’ secoli scorsi.”

La prima scossa fu fortissima, arrivando al grado 7° della scala MCS, seguita da una serie di scosse successive; era la sera del 9 gennaio, quando alle 21 si scatenò la furia degli elementi, con epicentro Melilli e Sortino, dove crollarono immediatamente moltissimi edifici, ed altri si lesionarono irreparabilmente; moltissime furono le vittime, poiché in quell’epoca ed in quella fredda stagione, le genti si ritiravano nelle case all’imbrunire, molti già dormivano per levarsi all’alba nei campi o nei lavori pesanti e furono colti nel sonno dalla morte.

Il giorno successivo, sabato, non vi furono scosse e le persone cedettero che tutto fosse finito con una sola scossa, ma la domenica mattina seguente, l’11 gennaio alle ore 9, arrivò improvvisamente una nuova fortissima scossa, seguita ancora da un’altra alle 10.

La distruzione vera e propria, che fu causa dell’innesco del maremoto e che colpì anche quei centri che fin ora erano rimasti incolumi, avvenne però alle ore 13.30, scatenando una forza sismica calcolata in 7,3 Mw (XI° grado MCS), l’epicentro venne identificato al largo del Porto di Catania, lasciando supporre che non fosse collegato al precedente terremoto di due giorni prima, ma non è possibile certificarlo data la vicinanza davvero stretta tra i due eventi.

Il terremoto stavolta ebbe effetti anche in Calabria e sull’isola di Malta, mentre a Catania si racconta che improvvisamente “tutta la città rovinò su se stessa” in un solo istante e che “il mare si era ritirato di due tiri di schioppo e per la risacca conseguente aveva trascinato con se tutte le imbarcazioni ormeggiate nell’insenatura”, una sciagura indescrivibile, secondo i testimoni che sopravvissero.

Lo sciame sismico perdurò oltre due anni,con scosse di assestamento anche forti, con circa 1500 repliche, che fecero vivere costantemente nel terrore la popolazione siciliana

Secondo le fonti d’epoca il numero delle vittime fu stimato in:

16.000 decessi su 20.000 abitanti a Catania, 3.400 su 18.200 a Modica, 5.000 vittime a Ragusa su 9.950 abitanti, a Lentini 4.000 su 10.000, a Grammichele, che all’epoca si chiamava Occhiolà, perì il 52% degli abitanti su 3000; e ancora Siracusa, 4.000 vittime su 15.300, Militello 3.000 su 10.000, Mineo 1.355 su 6.723 e Licodia Eubea 258 decessi su 4.000 paesani.

Interi centri completamente distrutti e spopolati, decine di migliaia di persone senza casa, Caltagirone ebbe più di 1.000 vittime, la città non contava più quasi un edificio in piedi, Palazzolo Acreide e Buscemi persero il 41% della popolazione, 2.000 i morti ad Acireale.

Incredibili i danni anche al patrimonio storico ed artistico, si persero castelli medievali, e più di 250 monasteri, 2 vescovadi, oltre 700 chiese, 22 collegiate e danni irreversibili per circa 49 città.

 

Le Leggende

 

La portata dell’evento, alimentò delle leggende popolari, che cominciarono a fiorire su un tal Barone Arcaloro Scamacche, secondo cui una strega la mattina del 10 gennaio 1693, avrebbe riferito che la città di Catania, avrebbe ballato senza musica; ovvero che aveva incontrato in sogno Sant’Agata che aveva implorato il Signore di salvare la città, ma Gesù aveva negato il perdono perché era intenzionato a punire i peccati dei catanesi. Il Barone si sarebbe salvato rifugiandosi nella sua residenza di campagna.

Un’altra leggenda riguardail Vescovo Francesco Antonio Carafa, che resse il vescovado catanese dal 1687 al 1692, avendo salvato già Catania due volte dal terremoto con le preghiere, ma non potè evitare che essa fosse colpita l’anno successivo alla sua morte, così come per altro riporta una iscrizione lapidaria scolpita sulla sua tomba nel Duomo di Catania.

“Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto del 1693. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”

La leggenda di Naro, racconta che la città dell’agrigentino, si sarebbe salvata dal sisma protetta dal Patrono San Calogero e proprio per questo ogni 11 gennaio, da 327 anni si commemora con una processione; a Vittoria nel ragusano, invece sono ben due le leggende concentrate sul terremoto:

La prima riguardante il momento in cui una pietra della vecchia chiesa della Matrice si staccò e cadde sulla testa di San Calogero facendo cessare immediatamente la scossa, mentre la seconda parla di un’urna, dove i cittadini misero delle pergamene con i nomi dei Santi venerati nella zona, e secondo quanto si racconta, il nome di San Giovanni Battista uscì tre volte, fu pertanto nominato Patrono della città; per commemorare l’evento, dove perirono anche 40 bambini, si celebra proprio a Vittoria la festa di “San Giovanni di Gennaio”

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