Coronavirus: lo shock di un’infermiera mirabellese a Pavia

Numerosi emigrati di Mirabella Imbaccari sono impiegati nel settore pubblico in nord Italia. Damiana Naso, 41 anni, è un’infermiera che lavora dal 2009 al reparto di Urologia del Policlinico di Pavia e ha vissuto in prima linea sul fronte contro il Coronavirus. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per conoscere la sua esperienza.

Damiana Naso (al centro) in ospedale

“Appena è scoppiata l’emergenza sanitaria sono stati chiusi 2 reparti e si è attivato il reparto covid con 10 posti letto e una trentina di posti in rianimazione e terapia intensiva. Pavia è diventato subito centro di riferimento a livello regionale e per 35 giorni ho lavorato al pronto soccorso covid con una decina di colleghi siciliani. E’ stato devastante perché moriva tanta gente soffocata, visto che il virus intacca gli alveoli polmonari dove avviene lo scambio di ossigeno. Sembrava tutto surreale e noi tutti eravamo scioccati psicologicamente”.

Avevate i dispositivi di protezione ? In quali condizioni avete lavorato?

“Si, indossavamo un tutone, visiera, guanti e mascherina perché il contagio virale avviene attraverso occhi e bocca. Ci sono state date 8 divise per 3 giorni, con 3 turni di 8-12-8 ore e il cambio mascherina ffp2 dopo 6 ore. Inizialmente arrivava gente di continuo che riempiva le corsie e non sono bastati i posti letto, ai pazienti con la febbre venivano date le mascherine e rimanevano nei corridoi con l’ossigeno. I parenti non potevano più vedere i loro cari ammalati, se non alla morte (ogni giorno morivano 5-7 persone, i loro corpi messi dentro sacchi e portati in camera mortuaria). Le terapie intensive erano piene, abbiamo avuto centinaia di infetti e pochi negativi”.

Qual era il tuo stato d’animo ?

“Tra noi colleghi ci si chiedeva se tutto fosse vero o un sogno. La sera ritornavo a casa stanca, magari con un po’ di febbre e la notte non riuscivo a dormire perché mi veniva in mente la gente che soffre e ti chiede aiuto senza che noi infermieri potessimo fare niente. Alla fine ho preso il virus e sono stata in quarantena per due settimane. Fortunatamente non ho avuto problemi di insufficienza respiratoria, solo febbre e dolori articolari (i sintomi del coronavirus variano da persona a persona e la cura dipende dalla risposta dell’organismo). Il contagio è avvenuto durante la svestizione e probabilmente si deve alla tuta infetta (in reparto c’era la zona filtro per il cambio abiti senza igienizzazione del dispositivo di protezione), molti infermieri sono stati contagiati in questo modo. Essendo il mio contagio un infortunio sul lavoro c’è una pratica assicurativa in corso. I media hanno amplificato la situazione, facendo capire ciò che non è…nessuno è un eroe, svolgiamo solo il nostro lavoro”.

Damiana Naso (a sinistra) con una collega

E ora come stai ? Qual è la situazione ?

“Personalmente sono molto provata psicologicamente, a parole non si può spiegare, solo chi lo vive sa. C’era il problema psicologico a interagire con i pazienti covid in difficoltà…chi vuole può fare un percorso individuale con lo psicologo, molti di noi si confrontano per superare il momento vissuto. Sono rientrata al reparto covid per 2 giorni e ho chiesto di ritornare in Urologia. Il pronto soccorso covid è stato chiuso, c’è un nuovo pronto soccorso di dimensioni ridotte con triage, sala per attesa tampone e 14 posti letto dove arrivano solo anziani. Ora abbiamo 8 ricoverati, c’è qualche anziano in terapia intensiva e adesso tutti indossano mascherina e guanti, di conseguenza meno morti e contagi. Ho donato il plasma perchè ho sviluppato l’immunizzazione ma voglio solo dimenticare”.

Rosario Scollo