Giovani che lavorano soddisfatti senza reddito di cittadinanza

Il periodo estivo anche quest’anno è pregno di polemiche all’indirizzo di giovani che non avrebbero voglia di lavorare e che, piuttosto che rimboccarsi le maniche, preferiscono restare spalmati sul divano col telefonino in mano, godendo della enorme ricchezza economica del reddito di cittadinanza. Un quadro avvilente di una società decadente insomma. Una prospettiva di futuro inesistente sorretto dall’assistenzialismo selvaggio che si cura di fannulloni autorizzati, premiandone l’inattività totale.

Certe narrazioni opinabili

Ristoratori e operatori turistici di ogni ordine e grado si trascinano come possono facendo fronte alla carenza di personale ricorrendo a miracoli e inusitate magie degne di romanzi fantasy. I clienti sono insoddisfatti per le lunghe attese al tavolo e i pochi eroici camerieri devono compiere imprese olimpiche per ottemperare al servizio. La società allo sfascio per colpa di quel sussidio che alcuni maledicono. Un settore in crisi perché proprio non c’è verso di trovare “schiavi” come ai bei tempi quando un giovane (e non solo) era costretto ad accettare lavori da 500 o 600 euro al mese con turnazioni di 8,9 o anche 10 ore.

In medio stat virtus

Il quadretto sopra descritto non solo è tendenziosamente menzognero, ma è strumentale contro qualcosa che finalmente tutela chi non ha risorse. Si cerca di demonizzare una misura del governo che garantisce un minimo di dignità e vivibilità a chi non ha lavoro. Si accampano scuse per alterare la realtà, puntando il dito contro chi disdegna un lavoro (stagionale). Un lavoro che non solo non gli cambierà la vita, ma lo costringe ad un regime di lavoro sottopagato.

Inutile nasconderci la realtà, ci sono operatori del settore turistico e della ristorazione (per fortuna non molti) che approfittano del periodo di crisi per indurre aspiranti candidati ad accettare lavori dalle caratteristiche non proprio appetibili. Dall’altra parte c’è però una sorta di opportunismo ragionieristico che fa valutare ai beneficiari del sostegno governativo, se valga la pena accettare un lavoro a tempo. Rinunciare cioè al sostegno del governo in cambio di una paga che probabilmente è molto prossima allo stesso Reddito di cittadinanza.

Un lavoro o un’occupazione?

La differenza evidentemente sta proprio nel concetto di base. A nessuno piace accettare un “lavoretto” di un paio o tre mesi, con una paga non certo faraonica. Così come non piace pensare ad un incarico che non offrirà futuro, che sarà formativo solo ed esclusivamente nella misura in cui sarà utile al datore di lavoro. Allora scatta la retorica sull’indolenza dei giovani e si cerca di spostare il problema (anzi, la causa del problema) additando il “sussidio” come responsabile della carenza dei candidati. Le organizzazioni sindacali, per contro, vedono come responsabili dello scarso interesse, altre ragioni. I turni massacranti, l’irregolarità dei contratti, l’assenza delle tutele. Alcuni poi dichiarano che in fase di colloquio viene palesato senza tanti giri di parole che se anche l’accordo ufficiale (il contratto) preveda la presenza di alcuni punti, questi nella realtà saranno modificati o del tutto stravolti. Prendere o lasciare!

L’allarme della FIPE

Secondo quanto denunciato dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), sarebbero almeno 150 mila gli addetti che mancano all’appello. Questo fenomeno rischia concretamente di mandare in crisi il settore e la ripercussione sul piano economico influisce sull’intero territorio nazionale. La FIPE non arriva ad accusare apertamente il “sostegno”, ma non manca di evidenziarne i presunti aspetti deleteri che ricadrebbero sugli operatori del settore.

La verità però è che non si trova manodopera per i motivi citati, non perché non ci sia voglia di lavorare. La riprova è la condizione di chi invece un lavoro regolare e adeguatamente compensato ce l’ha e se lo tiene stretto. Sono moltissimi i giovani che si dicono soddisfatti di aver abbandonato lo status di disoccupato fruitore del reddito di cittadinanza in ragione di un posto di lavoro che consente loro una conduzione “regolare” della vita. Chiunque si trovi di fronte una proposta lavorativa capace di migliorarne stabilmente lo stato sociale, non esita ad approfittarne. Il “fannullone” tanto invocato dai detrattori della misura di sostegno, in effetti esiste solo nella mente di costoro.

E’ evidente che la natura dell’essere umano tende al miglioramento. A nessuno piace crogiolarsi nella mediocrità, ma bisogna pure tener conto di un’altra verità: a nessuno piace sentirsi ridotto a schiavo piuttosto che elevato al ruolo di lavoratore.