La bellezza dell’arte giapponese vista dalla Sicilia

La Sicilia è una terra che ha sempre guardato con curiosità ad altre culture, senza trascurare il lontano oriente. Il palermitano Marco Milone ha appena pubblicato per Mimesis “Per un’introduzione sugli emaki” e, per la prima volta in Italia, un saggio parla di un’arte pittorica sviluppatasi in Giappone tra XI e XVIII secolo che, attraverso rotoli di carta o di seta di varia lunghezza chiamati ‘emaki’, illustra narrativamente storie d’amore all’interno della corte imperiale (tratte da classici della letteratura come ‘La storia di Genji’), eventi storici, il rapporto dei giapponesi con la religione, folklore e racconti soprannaturali.

Abbiamo contattato telefonicamente l’autore per saperne di più.

Ho 40 anni e la mia formazione è insolita e variegata: ho conseguito vari titoli, tra i quali una laurea in economia e commercio all’Università di Palermo, un master in general management all’Istituto Superiore per Imprenditori e Dirigenti d’Azienda, un diploma di politica internazionale all’Istituto Superiore di Politica Internazionale, un diploma di naturopata honoris causa presso la Scuola Superiore di Naturopatia Leonardo Da Vinci. Sin dai tempi dell’università ho incominciato a collaborare con riviste e case editrici di fumetti, e curato rassegne, mostre e manifestazioni per associazioni culturali; successivamente ho tenuto seminari, quale critico cinematografico e iamatologo, sia in festival che all’Università di Palermo e al Conservatorio Alessandro Scarlatti, già Vincenzo Bellini. Oggi mi occupa di produzione cinematografica, sono socio di una decina di startup, in due delle quali sono membro del consiglio di amministrazione e sono direttore amministrativo della piattaforma TheNemesis.io.

Perchè hai trattato un argomento poco conosciuto ?

Il libro sugli emaki è nato dalla semplice curiosità di volere comprendere meglio un modo che mi incuriosisce: il mio interesse per il cinema d’animazione è nato come estensione della cultura fumettistica, ma volendo andare a ritroso ho riconosciuto nel “Choju jinbutsu giga emaki” la prima rappresentazione moderna di narrativa illustrata, sebbene la tradizione pittorica del rotolo illustrato esistesse già. Quando ho riscontrato difficoltà nell’approfondire le origini di quest’arte, ho deciso di intraprendere personalmente lo studio di questa forma artistico-letteraria, studiando la poca bibliografia occidentale edita, ma pure di esaminare uno a uno tutti gli emaki realizzati nel corso della storia. 

Cosa ti affascina di questo argomento ?

In generale, a me affascinano la semplicità e l’eleganza, ovvero l’abilità di riuscire a ridurre all’essenziale un medium comunicativo, conservandone la forza d’impatto. Per esempio, nutro una certa curiosità per il cinema muto contemporaneo, per il cortometraggio, e così per un medium fumettistico ridotto all’essenziale: se togli i dialoghi e le sequenze d’immagini, puoi ancora avere una narrazione illustrata ? Alla base del concetto di emaki troviamo quello di costruire una narrazione, e di mantenere una scansione ritmica, secondo stilemi che solo apparentemente sono più semplici, ma invece nella loro dissezione rendono tutto più complesso. L’emaki ti mostra quindi la vocazione narrativa e la magnificenza di un artista meglio che nelle moderne narrazioni illustrate. Inoltre, lo studio degli emaki, congiuntamente a quello dell’ukiyo-e, diventa uno strumento tecnico per studiare la società nipponica dei secoli precedenti, studiandone storia, miti e cultura popolare.

Esiste una relazione o dei punti in comune tra arte occidentale e arte giapponese nella raffigurazione pittorica, così come ne accenni nel libro ?

In senso stretto, la pittura giapponese è stata influenzata dalla pittura occidentale nei cosiddetti yoga, che designa uno stile più occidentale tradizionale, che quindi abbraccia la pittura a olio, gli acquerelli, i pastelli, i disegni a china, la litografia, l’incisione e le altre tecniche sviluppate nella cultura occidentale. La pittura europea venne introdotta in Giappone durante il tardo periodo Muromachi insieme ai missionari cristiani, dovremo però attendere intorno al 1739-40 con Torii Kiyotada perche vengano realizzate le prime xilografie giapponesi con l’adozione dell’uki-e, ovvero una raffigurazione di immagini, soprattutto di interni, che faccia uso della prospettiva occidentale.

Quel che invece mi colpisce dell’emaki, in riferimento all’arte occidentale, è la raffigurazione degli stessi personaggi ricorrenti in scene diverse collegate da uno sfondo continuo, come lo possiamo ritrovare nell’arte occidentale: forse perché sono nato in Sicilia, mi viene spontaneo pensare ai mosaici del Duomo di Monreale, alla narrazione sequenziale, come in un emaki, del mito di Adamo ed Eva. Tali forme di narrazione non sono infrequenti nell’arte medievale occidentale. 

Pensi che possa nascere un nuovo interesse sull’arte giapponese perchè le nuove generazioni sono incuriosite dalla cultura giapponese anche attraverso anime e manga ?

E’ una domanda complessa a cui rispondere, e sulla quale mi piacerebbe essere ottimista, ma non riesco. Rispetto alla mia generazione, la generazione Z (nati da fine anni ’90 al 2010) e la generazione Alpha (nati dal 2011) stanno crescendo con una maggiore influenza della cultura nippponica, e in misura minore di quella coreana. Tuttavia, spesso, ho la sensazione che tutto si riduca a fenomeno modaioli di massa senza un reale impatto culturale. Se Italia, Francia, Spagna e Germania sono i paesi europei che maggiormente si sono distinti per le modalità d’immissione e di consumo/rielaborazione di temi e prodotti nipponici, il crescente “potere soffice” del Giappone sembra rimane confinato a dei percorsi tematici (macchina, infante e mutazione, in primis) e veicolato principalmente da manga, anime e omocha senza però innescare dinamiche culturali ben più complesse e profonde, almeno in Italia.

Vedi qualche relazione oggi tra Sicilia e Giappone ?

Da un punto di vista artistico, la prima connessione Sicilia-Giappone a cui potrei pensare è quella della pittrice giapponese Kiyohara Otama, conosciuta anche con i nomi di Eleonora Ragusa e Otama Ragusa, che ha vissuto gran parte della sua vita a Palermo.

Se O’Tama Kiyohara fu una pittrice di grande abilità, e produsse molte opere utilizzando tecniche diverse (dall’acquerello all’olio su tela, dal pastello alla pittura murale, ecc.), trattò i soggetti più vari (dai ritratti ai paesaggi, dalle nature morte agli animali, dalle scene di genere ai temi religiosi), il suo stile, dopo aver conosciuto il futuro marito, lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa, ebbe una decisa svolta passando dal grafismo sintetico giapponese al naturalismo occidentale.

Questo momento di sincretismo culturale credo sia emblematico dei collegamenti tra le nostre culture, e di come la Sicilia e il Giappone potrebbero trarre una reciproca e benefica influenza culturale. Purtroppo, al di la di momenti di associazionismo culturale (rappresentativo è il caso della manifestazione “La Sicilia abbraccia il Giappone” dell’Associazione Culturale Sicilia Giappone) non ci sono oggi forti stimoli reciproci né momenti di crescita culturali. Tuttavia, non manca una curiosità reciproca tra le due culture: non credo sia un caso che Sayoko Onishi, danzatrice della corrente del Nuovo butoh, abbia vinto un concorso di ballo nel suo paese d’origine, il Giappone, interpretando “Primavera Siciliana”.

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