CORONAVIRUS: impatti economi e risposta europea

Rubrica di economia e finanza a cura di Mario Rugini

La gestione dell’emergenza economica da Coronavirus è adesso il nodo cruciale di tutti i governi e di tutte le istituzioni Europee.

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La questione estremamente importante e divisiva, si inserisce nell’ambito di un meccanismo d’integrazione economica tra i Paesi Europei; ancora embrionale sotto tanti punti di vista e, certamente ancora non pronto ad affrontare con immediatezza una emergenza di questo tipo.

La reazione iniziale dell’Eurogruppo è stata parziale e incoerente. Questo, a causa delle nette differenze dell’impatto che il virus ha generato sui sistemi sanitari e di conseguenza, sull’intensità e durata dei look down.

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Le forti interrelazioni economiche tra gli Stati membri, rendono tuttavia impossibile e improduttiva un’impostazione divisiva. Infatti, dopo lo smarrimento iniziale, le Istituzioni europee si sono messe a lavoro per gestire l’emergenza.

Non si tratta di fare una discussione pro o contro, ma di capire cosa è stato fatto e cosa manca, anche perché un approccio ideologico rischia di irrigidire le posizioni rallentando la risposta e limitandone l’efficacia.

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La BCE ha messo a disposizione fino a 3100 miliardi di linee di credito fino a tre anni per le banche al tasso negativo dello 0,25%.

Queste linee di credito consentono ad esempio alle nostre Banche di concedere quei prestiti definiti dal decreto Cura Italia praticamente a tasso zero alle imprese che ne hanno bisogno.

L’Unione Europea ha stanziato circa 500 miliardi di euro tra Piano SURE, Bei e MEF.

Benefici

Vediamo cosa sono e di quanto potrebbe beneficiarne l’Italia:

  • piano SURE: sono 20 miliardi di fondi di garanzia messi dagli stati europei per finanziare la Cassa Integrazione. Di fatto questi sono Eurobond perché l’emittente è comunitario e non sono gli stati nazionali, con un tasso di interesse basato sulla media europea.
  • Intervento della B.E.I: la banca europea degli investimenti ha sbloccato altri 11 miliardi di euro di fondi strutturali per le regioni. Anche questi sono di fatto Eurobond perché l’emittente è comunitario.
  • Il MES: il fondo salva stati potrebbe mettere senza condizionali fino a 34 miliardi di prestiti a 5/10 anni per spese dirette e indirette di cura e prevenzione del Coronavirus.

Il nodo della questione è la fase due ovvero le ulteriori misure infatti  per riassumere Italia, Francia e Spagna vorrebbero creare un Recovery Fund ossia emettere altri 500 miliardi di Eurobond, mentre Germania, Austria e Olanda vorrebbero ampliare i tre strumenti esistenti, ma in modo progressivo e graduale.

Come possiamo vedere dagli interventi fatti e sul da farsi il vero dibattito non è tanto legato alla tipologia di strumento da utilizzare, ma sulla quantità e tempistica di debito da stanziare nel tempo.

In altre parole le nazioni meno coinvolte dal virus frenano perché i danni economici diretti sono diversi tra gli Stati e hanno preoccupazione che una spesa incontrollata iniziale non lasci margine di azione per il futuro. Mentre le nazioni più coinvolte spingono per una maggiore velocità iniziale perché temono che una azione lenta abbia ripercussioni economiche difficilmente superabili nel breve termine.

L’opinione dell’esperto

E’ evidente che una risposta forte, immediata e coesa, sia necessaria per poter creare una Fase 2 in Europa, ossia una maggiore unificazione e solidarietà che renda tutti i Paesi più forti in un contesto internazionale fragile e che ponga le basi per modelli economici maggiormente orientati allo sviluppo sostenibile.

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