Una gita fuori porta: Chiesa di San Rocco al Piglio (Fr)

Riceviamo e pubblichiamo:

PIGLIO: tesori e misteri della chiesa di San Rocco

di Giancarlo Pavat

Un luogo comune recita che l’Italia è un enorme museo a cielo aperto. Ogni città, paesino, borgo, conserva inestimabili tesori artistici, archeologi e storici; spesso sconosciuti ai più e non di rado in precaria esistenza. Tra questi va annoverato il comune di Piglio, in Ciociaria, noto per i suoi pregiati vini ma che tra le varie emergenze artistiche ed architettoniche può vantare una chiesetta a prima vista assolutamente insignificante. Ma che in realtà è un vero scrigno di tesori e misteri. Si tratta della chiesa di San Rocco. Se possiamo ancora ammirarla lo dobbiamo alla caparbietà, al coraggio ed all’amore per la propria terra di un uomo; Giorgio Alessandro Pacetti il quale, da oltre 35 anni, si batte instancabilmente per salvare e restaurare l’edificio sacro, che nel corso dei decenni, dopo aver subito anche il terremoto del 1915, ha rischiato pure l’abbattimento. La chiesa si trova poco fuori dell’abitato di Piglio, a due passi dall’edifico della vecchia stazione della ferrovia che da Roma portava fino alla celebre cittadina termale di  Fiuggi. Piuttosto semplice, ha una pianta rettangolare a navata unica ed al suo interno ingloba un antichissima cappella presso la quale sostavano in riposo ed in preghiera i viandanti e pellegrini che nel Medio Evo percorrevano al cosiddetta “Francigena del Sud”, che dalla “Città Eterna” conduceva ai porti del Mezzogiorno, dove imbarcarsi per la Terrasanta. Infatti, questa antica arteria, formata da un serie di sentieri, percorsi, tratturi, che grossomodo seguivano l’andamento dell’antica consolare romana, passa a pochi metri dalla chiesetta di San Rocco. Ed è sulla cappella trecentesca che concentriamo la nostra attenzione, preparandoci a delle vere e proprie sorprese. Entriamo nella chiesa attraverso un portale in pietra (purtroppo puntellato con travi) su cui stipiti si intravedono croci di consacrazioni. La lunetta superiore ospitava certamente un affresco, oggi perduto per sempre. Sulla parete sinistra della navata si scorge un pregevole affresco cinquecentesco (la scritta sottostante reca la data del 1592) con la Madonna con il Bambino e San Giovannino, riportato alla luce dal Pacetti nel 2002. L’affresco, come spiega Pacetti, nel XVI secolo fece modificare il nome della chiesetta. Infatti è attestato che dal 1595 prese ad essere denominata “San Rocco e della Madonna della Valle”. Il ricercatore è convinto che sulla stessa parete, coperto dall’intonaco ci sia anche una effige di San Marco, visto che la chiesa era nota per la devozione nei confronti del santo martirizzato ad Alessandria d’Egitto.  Ma nella navata, oltre che dalla statua di San Rocco (oggi posta sopra l’altare ma un tempo allocata sotto la conchiglia di San Giacomo presente nella cappella di destra utilizzata anche come ricovero degli appestati) viene catturato da una croce patente rossa inscritta di un circonferenza dipinta sulla parete sinistra. Qualcuno ha tentato di metterla in relazione ai celebri cavalieri Templari. I quali utilizzarono anche questa tipologia di croce. Ma, sebbene rinvenuta sotto l’intonaco più recente, quella parete della chiesa è stata costruita nel XVI secolo, Quindi oltre due secoli dopo la fine del potente Ordine monastico-cavalleresco. Quasi in corrispondenza con questa croce, sulla parete di destra si nota, dipinto sempre con colore rosso, una sorta di volatile. Forse l’aquila simbolo di Piglio. Ma Sonia Palombo, osservando attentamente la figura, ritiene di avervi riconosciuto un pellicano che si squarcia il petto con il becco per nutrire i suoi piccoli. Rappresentazione allegorica di Gesù Cristo che si sacrifica sulla Croce per la salvezza di tutta l’Umanità. Questa simbologia si ispira anche al “Adoro te devote”, un canto eucaristico, attribuito a San Tommaso d’Aquino, che intona “Pie pellicane, Jesu Domine, me immundum munda tuo sanguine; cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere”. Il simbolo Cristico del Pellicano è stato ripreso anche da Dante Alighieri nel Canto XXV, vv. 112-114, della Cantica del Paradiso. Dove, descrivendo l’incontro con San Giovanni Evangelista, rievoca la scena dell’Ultima Cena, quando l’Apostolo chinò il capo sul petto di Gesù. “Questi è colui che giacque sopra il petto/ del nostro pellicano, e questi fue/ di su la croce al grande officio eletto”. L’acquasantiera della chiesa è un vero e proprio “pezzo” archeologico”. Si tratta infatti di una colonna romana il cui capitello è stato scavato trasformandolo, appunto, in fonte battesimale. Dalla navata varchiamo al soglia della cappella posta a sinistra dell’altare e ci troviamo di fronte al gioiello della chiesa di San Rocco. Un affresco trecentesco che gli storici dell’arte hanno definito di scuola giottesca napoletana. L’opera d’arte ha rivisto la luce nel 1984 è raffigura la Madonna in torno con in braccio il bambino, attorniata da quattro santi. Probabilmente agli inizi del XVII secolo, davanti all’affresco è stata costruita una cortina in muratura con decorazioni a stucco che l’hanno trasformato in un tabernacolo. Nascondendolo quasi del tutto alla vista dei fedeli e dei visitatori. Solo quasi infilandocisi quasi dentro, con le dovute precauzioni e rispetto, è possibile ammirare questo straordinario dipinto. Sia la Vergine che Gesù stringono in mano un rametto (appena riconoscibile) di “rosa canina”. Da cui l’attribuzione del nome di “Madonna delle Rose”. Non è questa la sede per dilungarsi sui particolari significati allegorici ed apotropaici e sulle proprietà curative al limite tra medicina popolare e superstizione che per lunghi secoli vennero attribuiti alla “rosa canina”. Ma è interessante notare come nella cappelletta rurale tale frutto sia stato messo in relazione con Cristo e la Madonna. I personaggi aureolati posti a sinistra della Madonna sono stati identificati nel beato Andrea Conti, della nobile famiglia da cui discese Bonifacio VIIInell’Evangelista Giovanni che regge con la mano sinistra un rotolo di pergamena e con la destra una penna d’oca A destra sono stati ritratti San Leonardo, che stringe i ceppi di carcerato, e Sant’Antonio Abate con il bastone a forma di croce del Tau e la campanella, attributi del Primo degli Abati. La scelta dei santi è già di per se peculiare e non è stata ancora chiarita del tutto. Ma stupore, curiosità e mistero suscitano pure tutta la serie di graffiti incisi direttamente sull’affresco. Si tratta sia di veri e propri disegni di uomini ed animali che di simboli. Uno dei più misteriosi ed interessanti riscontrabili sull’affresco della Madonna delle Rose è certamente quello della “Triplice Cinta”. Il primo esemplare è stato scoperto dalla giornalista Serena Pallone di Frosinone, durante riprese video della “Fiuggiwebtv” in occasione dell’apertura della chiesa per la giornata nazionale del FAI, il 25 marzo 2012. Le altre (finora ne abbiamo contate almeno sei, quattro a destra della Madonna e due a sinsitra) sono saltate fuori da una analisi attenta e ravvicinata dell’affresco. Il simbolo della “Triplice Cinta” è formato da tre quadrati concentrici, con quattro segmenti che collegano i punti mediani dei lati. In alcune versioni esistono ulteriori segmenti che uniscono tra loro gli angoli ed il centro del quadrato. L’osservatore attento vi riconoscerà lo schema del gioco del “Filetto”. Ma quello ludico è soltanto l’ultimo utilizzo di questo simbolo. Riscontrabile sin dalla più remota antichità. Nel Medio Evo è stato utilizzato sia come gioco che come simbologia, come allegoria, come “segno” apotropaico, anche dai grandi Ordini monastico regolari, da quelli ospitalieri, ed infine da quelli monastico cavallereschi, come i celebri Templari Ma pure da tutta quella, folla di pellegrini che si mettevano in cammino, da ogni angolo d’Europa, per recarsi ai Luoghi Santi; in Occidente Santiago de Compostella e Roma, in Oriente Gerusalemme. È decisamente interessante trovare questo simbolo nella cappelletta di Piglio, che come già evidenziato, è vicinissima alla via “ Francigena del Sud”. La Triplice Cinta, ovunque venga rinvenuta, costituisce sempre un piccolo enigma, aldilà dei significati allegorici più reconditi. Infatti ci si chiede sempre se sia stata realizzata per giocarci oppure per ben altri motivi Ovviamente quando si trova posizionata orizzontalmente, su muretti di chiostri di abbazie, su soglie di edifici, sui gradini di una chiesa, è quasi certo che abbia fini ludici. Mentre quando la si rinviene posta verticalmente si deve supporre che la funzione fosse quella simbolica. Ma rimane , comunque, sempre il dubbio che l’esemplare di Triplice Cinta non si trovi nella sua posizione originaria. Bensì che il blocco di pietra sia stato riutilizzato e posto in opera verticalmente. Questo discorso non può valere per le Triplici Cinte scoperte sull’affresco della Madonna delle Rose. Francamente risulta piuttosto difficile, se non impossibile, giocare a “Filetto” su una parete verticale, ed ovviamente l’affresco non è mai stato in posizione orizzontale!. Questi esemplari di Triplice Cinta sono ancora più interessanti perchè sopra di essi si notano chiaramente delle croci. Inoltre abbiamo identificato tantissimi altri simboli, anch’essi piuttosto diffusi in Ciociaria , in particolar modo presso edifici e luoghi sacri. Come il “Segno del Golgota”, ovvero delle Croci (in questo caso trattasi di “Croci di Lorena” o “Patriarcali” ovvero con due bracci orizzontali) in cima ad un triangolo più o meno geometrico, che rappresentano il Calvario e quindi la Crocifissione di Cristo. A sinistra della testa di Sant’Antonio Abate è visibile un altro simbolo che potrebbe essere il cosiddetto “Centro Sacro”. O ancora ”stelle” con una punta a forma di freccia, riscontrabili presso siti frequentati dai pellegrini. Si riscontrano pure piccole figure di guerrieri, almeno tre.  C’è persino un cane, ritratto vivacemente mentre abbaia mostrando i denti. Va ricordato il valore simbolico del cane come custode, guardiano. Ma potrebbe semplicemente essere una sorta di ex voto di un viandante sfuggito ad un cane poco amichevole. Sicuramente gli ignoti artefici, forse pellegrini fermatisi in raccoglimento nella cappelletta, non hanno inciso queste Triplici Cinte e gli altri simboli (tutti legati alla sfera del  sacro e del Trascendente) con intenti di spregio nei confronti dell’immagine sacra. Non si tratta di atti vandalici, come purtroppo succede ai giorni nostri, ma testimonianze di devozione, richieste di intercessione nei confronti della Vergine, o semplicemente come attestazioni di una presenza, di “io sono stato qui”! I graffiti furono notati sia da Pacetti che dai restauratori che intervennero (sotto la direzione del Dott. Franco Rossi della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Monumentali del Lazio nel 1991) per salvare l’affresco della Madonna delle Rose, ma evidentemente non venne data la giusta importanza, visto che, a quanto ci consta, non siamo riusciti a trovare una riga su queste importanti testimonianze del passato. Va ricordata, comunque, l’oggettiva difficoltà nel poter vedere bene l’intero apparato pittorico. Comunque Pacetti li ha paragonati a quelli visibili sull’affresco di un’altra Madonna con il Bambino, presente a Fabbrica di Roma. Ma a parere nostro i grafiti di San Rocco assumono un valore simbolico ed allegorico di diverso e più notevole spessore. Allo stato attuale delle ricerche (è in corso una vera e propria mappatura dei grafiti dell’affresco della Madonna delle Rose) possiamo affermare che questo corpus di incisioni e simbologie costituisce una sorta di vero e proprio unicum nel panorama dell’arte e della simbologia medievale in Ciociaria. E merita per davvero di essere portato a conoscenza, come tutta la chiesa di San Rocco, di un pubblico più vasto di ricercatori, appassionati e curiosi.

Giancarlo Pavat è nato a Trieste nel 1967, lavora a Roma e vive in ciociaria. Collabora con musei, istruzioni, enti culturali e scrive riviste e quotidiani anche a tiratura nazionale; per le sue attività di ricerca è intervistato da emittenti televisive e radiofoniche nazionali. Ha scritto  “Nel segno di Valcento” Viaggio nel Lazio meridionale attraverso le simbologie templari e degli altri ordini monastico-cavallereschi. Pavat ha scoperto un affresco nel chiostro di San Francesco ad Alatri ed ha pubblicato anche “il Cristo nel labirinto il mistero dell’affresco” ed ha partecipato alla trasmissione televisiva “Voyager”.

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