Sanità romana, ” un giorno al pronto soccorso … “

Riceviamo e pubblichiamo

Chi non ha preso mai l’infezione da covid-19? Che dire, basta che ci si rechi in un pronto soccorso di Roma ed in poco tempo si può diventare positivi. Questa è l’impressione che si ha ...
Così scrive un nostro amico e Giornalista di Freelanz Internazional Press che sappiamo essere stato delegato del sindaco di Roma Alemanno, in una mail che ci ha inviato per raccontarci la sua esperienza diretta al pronto soccorso di uno degli ospedali Covid della capitale.
« Appena entro al pronto soccorso, noto subito che ci sta molta gente, e come tutti, con la mia brava mascherina indossata, aspetto il mio turno. Ed ecco che mi chiamano, mi avvicino allo sportello rilascio i dati richiesti per il consueto censimento personale e indico i problemi di salute che mi hanno portato qui. Dopo una breve “visita/intervista” effettuata da infermieri, ben protetti con le mascherine guanti e quant’altro, vengo mandato in una sala d’aspetto adiacente al reparto covid e rimango un po’ stupito… sono separato dal reparto Covid solo da una porta, una porta aperta.
Subito dopo mi reco nell’immediato esterno, dove sono allestite due tende della protezione civile e lì mi fanno un tampone rapido -i tempi di risposta variano da 40 min. a un’ora e mezza- tempo che ho trascorso in piedi senza potermi sedere. Risulto negativo, mi fanno ritornare indietro e finalmente posso accedere al reparto non covid e fare tutti i controlli che servono.
Finito, torno indietro e finalmente mi POSSO SEDERE per attendere i risultati di quanto fatto! Fin qui nulla di strano, se non fosse che ho avuto due volte un infarto e non so che cosa ho adesso …
Attorno a me molti pazienti “meno gravi”, a quanto pare, anziani, donne e uomini di tutte le età, e tutti che si lamentano per i dolori che hanno. Tutti sono seduti, senza potersi sdraiare; ad i più gravi è concessa una seconda sedia per poter allungare le gambe, ai più “fortunati” una poltroncina, che rabbia! Intanto ad una giovane e sofferente donna fanno una iniezione, li, davanti a tutti, senza nemmeno un séparé mobile che tuteli la sua privacy.  Il caos impera, gente che va, gente che viene, e tutti da o per il reparto covid, ti passano a dieci centimetri di distanza alle volte sei pure costretto a spostare i piedi. 
Che rabbia, ripeto, ma con chi ci si può arrabbiare? Con i medici o gli infermieri? Con il resto del personale sanitario lì presente? Certamente no! Non credo assolutamente che dipende da loro, anzi, loro, ritornando al pericolo di contagio covid che ho manifestato all’inizio di questo racconto, sono anche più esposti degli assistiti presenti nel reparto, e rischiano ogni giorno di ammalarsi e portare il virus presso le loro case contagiando i loro cari. Pensate, un medico, accompagnato dai suoi assistenti -Tirocinanti, infermieri, ecc… – può visitare più di 50 pazienti in un turno, ma cosa dico, forse anche di più…
 
La mia personale riflessione dopo questa interminabile esperienza, durata 15/16 ore, in piedi o seduto su una sedia, è che , invece di creare più posti letto, assumere personale, ottimizzare le infrastrutture e puntare sulla formazione del personale sanitario, si inviano armi (seppur di difesa) ai Paesi in guerra, spendendo ingenti somme, a discapito del Servizio Sanitario, non so, magari creando più ospedali … 
Ovviamente si comprende e si è solidali nei confronti di un paese distrutto dalla guerra, ma non si può non pensare ed accettare che il popolo italiano venga sempre “DOPO, O MAI”, e mi permetto di aggiungere anche quel popolo di residenti stranieri regolarmente inseriti nel sistema Nazionale perchè pagano le tasse sostenendo l’economia e la crescita…
Nel ringraziare per la pubblicazione di questo mio scritto concludo dicendo: 
Non si può stare 5/16 ore su una sedia e rischiare di morire perché non ci sono soldi per la Sanità Pubblica, o meglio ci sono ma chissà che giro fanno o dove vengono ridiretti… »
Lettera (mail) di Najo Adzovic Giornalista freelance internazionale Press