Il governo e “l’affare acqua” ai privati e intanto i Comuni perdono autonomia

la gestione ai privati dell'acqua pubblica

Si, i Comuni perderanno la loro autonomia, che gli viene strappata via dalla decisione del governo di assegnare ai privati la gestione dell’acqua. Saranno i privati ad occuparsi dell’acqua, che sempre meno è considerata un bene primario e diviene sempre più “merce” gestita da chi ne detiene il controllo. Il processo che sembrerebbe ineludibile riguarda anche i servizi pubblici, gestione degli acquedotti, trasporti urbani, raccolta dei rifiuti. Tutto diventa appannaggio di privati che lucreranno nel nuovo Mercato imponendo costi ai cittadini che non avranno potere contrattuale proprio perché la “detenzione del bene o del servizio” non è pubblica.

Se il governo cede i servizi, poi non può tutelare i cittadini

Se il governo affida a terzi la gestione di qualcosa, non potrà poi intervenire sull’operato di questo soggetto privato, fatti salvi i canoni fissati dalle linee di accordo sulla gestione.

Che vuol dire? Ipotizziamo che il governo detenga tutta l’aria che respiriamo. Ne è responsabile per la quantità, la pulizia, il filtraggio, la preservazione da agenti inquinanti, e via così. Lo Stato poi decide di cedere il controllo e la gestione ad un’Azienda privata. A quel punto nel contratto di cessione, saranno fissati dei parametri entro i quali dovrà condursi la gestione. Si metterà nero su bianco, ad esempio che: la quantità di aria pro-capite non può essere inferiore a un certo limite. E magari, che in caso di scarsa disponibilità, il gestore possa ricorrere ad approvvigionamenti dall’estero traducendo questa operazione in costi aggiuntivi per i cittadini. Oppure si potrebbe indicare che il gestore dovrà aver cura della pulizia dell’aria ricorrendo a tecnologie adeguate e facendone ricadere i costi solo in misura del 5% sui consumatori (sempre a titolo di esempio).

Paga il cittadino

Fin qui tutto bene, ma andando a valutare nel dettaglio i punti dell’ipotesi, si apprende che ogni operazione (quando non supportata interamente dallo Stato) ricadrà in solido sui cittadini. Il gestore a quel punto sulla base dei parametri fissati potrebbe optare per soluzioni adeguate rivolgendosi a ditte specializzate. I costi a quel punto, non saranno contestabili poiché chi detiene il controllo dell’aria affida ad un’azienda di sua fiducia le operazioni necessarie.

E qui si aprono infinite ipotesi sulle possibilità di intrecci economici che potrebbero vedere protagoniste aziende detenute e/o controllate da un soggetto finale che muoverebbe i fili di tutto.
Per maggiore chiarezza e sempre nel campo delle ipotesi, diciamo che la holding Pinkopallino detiene una serie di aziende erogatrici di servizi e produttrici di beni. Queste aziende a loro volta hanno il controllo di altre società che incaricano di svolgere attività similari o connesse. Chi sarà il padrone di tutto? O meglio ancora, chi controlla il controllore? Quali sono le politiche corrette dei costi?

Una rincorsa presa da lontano

Nel 2011, precisamente il 5 agosto, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e il presidente della BCE (la Banca centrale europea) Jean-Claude Trichet, scrissero a Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, che erano necessarie privatizzazioni su larga scala. In particolare queste avrebbero dovuto riguardare proprio i servizi pubblici locali.

In favore della privatizzazione dell’acqua si era mosso anche il ministro per le Politiche Comunitarie, Andrea Ronchi nel 2009, nel IV governo Berlusconi. Inserì la norma nel pacchetto della Riforma dei Servizi Pubblici.

Stesso obiettivo fu poi perseguito da Matteo Renzi, nel decreto Sblocca Italia.

Comuni privati dell’autonomia

Se la gestione dell’acqua quindi, viene riassegnata a soggetti privati, i Comuni sono di fatto privati dell’autonomia e vanno perse tutte quelle garanzie che preservano i cittadini. Tutto ciò è indicato nell’artico 6 del “Ddl concorrenza” che il governo ha emesso, su approvazione del Consiglio dei ministri, alla fine del 2021. Un documento “necessario” agli obiettivi del Pnrr per ricevere i fondi Next Generation Eu.

Nella seduta dello scorso lunedì 30 maggio, l’Assemblea del Senato ha approvato (con 180 voti favorevoli, 26 contrari e un’astensione) il disegno di legge per il Mercato e la Concorrenza, e collegato alla legge di bilancio n. 2469. L’acqua è quindi non più un bene ma un “prodotto” che sarà gestito da privati.
Il testo che adesso è alla Camera per la seconda lettura, avrà certamente una terza lettura al Senato dove sarà approvato prima della pausa estiva.

La siccità, la carenza idrica, la sete che avanza

A livello planetario stiamo vivendo una crisi come mai prima, per quanto concerne la disponibilità di acqua. È fuori di dubbio che essa costituisca un bene prezioso e indispensabile ma in Europa si continua a considerarla un “bene economico” da destinare al Mercato e alla Borsa. Proprio come fanno da anni gli americani.

I Comuni possono mantenere i servizi ma…

I servizi dovranno passare al privato, i Comuni potrebbero esercitare il diritto di conservare la gestione di questi servizi ma dovranno ottemperare ad una serie di vincoli.
1) Dovranno giustificare perché non ricorrano al Mercato privato, perché l’atto della conservazione della gestione sarà considerato un’anomalia. Quindi, prima di tutto, dovranno produrre ragioni efficaci.
2) I Comuni dovranno inoltre dimostrare anticipatamente e periodicamente il perché della scelta. Queste dimostrazioni saranno poi sottoposte al giudizio dell’Antitrust.
3) Non finisce qui, perché laddove un Comune decidesse di proseguire nella gestione dell’acqua, avrà l’onere della presentazione di un complesso e dettagliato sistema di monitoraggio dei costi.
Insomma diversi “paletti” utili a dissuadere i Comuni dal perseverare nel controllo e nella gestione dell’acqua.

I gestori privati

Se invece la gestione fosse dei privati l’unico onere che graverebbe su questi soggetti sarebbe quello della presentazione della relazione annuale sulla qualità del servizio e sugli investimenti.
Non solo, per i soggetti privati ci sarebbero anche degli incentivi per favorire aggregazioni di gruppi, al fine di favorire società multi servizi da quotare in Borsa. E queste società potranno essere anche esclusivamente di capitali privati (senza partecipazioni dello Stato).

La storia ha mostrato fallimenti passati

Quando il Governo ha affidato i servizi ai privati, si è poi spesso dovuto fare i conti con gestioni fallimentari. Scarsi controlli, investimenti pressoché inesistenti, manutenzione carente o assente, e soprattutto perdite compensate da rincari all’utenza.

Proteste

Contro le privatizzazioni del governo Draghi si sono attivate le Associazioni ambientaliste e diversi Movimenti in difesa dell’acqua pubblica. Anche molti sindaci si sono mobilitati in protesta di questo provvedimento e va notato che anche sindaci di destra hanno sposato la causa della conservazione dei diritti di gestione di questo servizio che parrebbe invece destinato a essere uno strumento di competizione sul Mercato. Tutti sono concordi nell’affermare che siamo di fronte ad un attacco ai diritti dei cittadini e delle amministrazioni locali che così perderanno risorse.

Gli italiani si sono già espressi

La decisione popolare nel referendum del giugno 2011 stabilì che l’acqua andava considerata bene pubblico. Oltre 26 milioni di italiani si recarono alle urne per difendere l’acqua pubblica e vennero cancellate quelle norme che ne consentivano la privatizzazione. Ma a nulla è valso tutto ciò.

Stessa decisione venne ribadita da una legge di iniziativa popolare nella quale si indicava l’affidamento del servizio idrico a Enti di diritto pubblico. La legge era accompagnata da 400 mila firme, ma è ferma in Parlamento da un decennio.