Cibo da strada: un affascinante viaggio tra tradizione e identità

“Dialoghi maratona a due voci sulle contemporaneità e molto altro …”

un’insolita intervista; a cura di Angelo Zammuto e Alessandro Stirpe

LoStreet food” si riferisce a cibi preparati e venduti in strada o in luoghi pubblici come mercati, parchi, piazze e spiagge. Questo tipo di cibo di solito è facile da mangiare, economico e spesso rappresenta un’esperienza culinaria locale e autentica.

Il termine Street food può comprendere una vasta gamma di cibi come panini, hot dog, kebab, tacos, arepas, falafel, pad thai, curry e molti altri. In molti paesi, lo Street food è una parte importante della cultura alimentare e rappresenta un’opzione conveniente per un pasto veloce o uno spuntino durante il giorno.

Tuttavia, ci sono anche preoccupazioni riguardo alla sicurezza alimentare e alla regolamentazione di questo tipo di attività commerciale.

Ufficialmente la Fao delimita il significato di Street Food, come quell’insieme di “alimenti, incluse le bevande, già pronti per il consumo, che sono venduti (e spesso anche preparati) soprattutto in strada o in altri luoghi pubblici (come mercatini o fiere), anche da commercianti ambulanti, spesso su un banchetto provvisorio…”

Ma è veramente tutto qui? Si tratta dell’ultima moda, di una trovata mediatica o il rapporto tra l’uomo e il cibo di strada, merita un’analisi più profonda?

Giriamo la domanda, ed iniziamo questa bella maratona, ad un amico, Alessandro Stirpe, amante di tutto ciò che da un senso alla libertà ed alla serenità:

AlessandroGeorge Bernard Shaw diceva: “Nessun amore è più sincero dell’amore per il cibo” e io credo che il linguista irlandese, abbia pienamente colto l’aspetto essenziale della questione: si tratta di Amore.

Almeno per noi Mediterranei, ecco, si tratta di un legame profondissimo. Quindi affrontare questo argomento significa parlare di una storia d’amore, di una storia che è un magnifico viaggio nel tempo, un tempo in cui si celebrava un rito ancestrale: nutrirsi. Si mangiava tutti insieme – molto meno di oggi – ma con un gusto, un’allegria e una benevola riconoscenza per il sacrificio che c’è dietro ogni briciola di pane.. valori che oggi ormai sono perlopiù dimenticati.

Direttore – Entriamo nel vivo del confronto dunque, cibo = amore, vita. Mi piace questa prospettiva e voglio fare il primo affondo: se parliamo di un “amore” allora potremmo dire che parliamo anche di un’arte.. quali sono le forme, l’espressione, la sua storia di questo “innamoramento”?

Alessandro – Secondo gli storici, il cibo da consumarsi in strada, rispondeva alla necessità di sostentare, principalmente, i lavoratori e più tardi passanti, viaggiatori, mercanti etc. Nasce quindi in tempi  antichi, anzi antichissimi, visto che esistono testimonianze di prototipi di banchetti/tenda mobili già a partire dalla civiltà egizia. Il passaggio che li porterà dall’ombra delle piramidi ai fori imperiali, rappresenta un segmento denso di interrogativi, non sempre investigato, e quindi affascinante e per certi versi, misterioso..

Direttore: Quindi Egitto, Grecia, Roma e poi.. Impero. Come si passa dal Thermopolium di Pompei a oggi?

Alessandro: Attraverso una serie di contatti culturali tra civiltà diverse che interagendo hanno innescato dei cambiamenti, fondendo elementi diversi che hanno dato vita a veri e propri unicum gastronomici. Quello della fattispecie in questione, consiste nel passaggio di ciò

che originariamente veniva considerato il cibo dei poveri, a un simbolo della tradizione e dell’identità, in questo modo attraversiamo la storia e veniamo al presente. Sarà il suo “riconoscimento culturale” a rappresentare una svolta, un trampolino di lancio verso l’identificazione della Dieta mediterranea come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Direttore: Gli eventi di maggior successo, con affluenze record, negli ultimi 15 anni hanno sempre a che fare con lo street food; il grande fascino deriva dal simbolo valoriale che racconta un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola o … moda?

Alessandro: la domanda è di quelle altamente infiammabili, ma legittima. Certo è che esiste un interesse crescente sull’argomento e questo produce incursioni interdisciplinari, studi, ricerche di cui le persone sono particolarmente.. “ghiotte”, a tutto ciò si affianca un “marketing della voracità” made Usa che spopola in tv e nei social.. forse più che una moda, è nata una vera e propria ossessione di massa.

Direttore: Sembrerebbe che per quanto nobile sia l’origine di un fenomeno, non appena reso mediatico, diventi “altro”, condividi questa riflessione?

Alessandro: assolutamente si. C’è una curiosa alchimia che trasforma e mercifica tutto in un certo tipo di comunicazione. Il cibo di strada è una narrazione del rapporto dell’uomo con la terra: racconta il suo lavoro, la sua conoscenza della natura, parla di tecniche antichissime, di segreti, antiche arti, di schemi e ruoli sociali.. e non mi sembra di vedere nulla di tutto ciò in panini horror a sei strati da infarto istantaneo o nelle anti popolari esibizione di palati stellati, che equiparano esclusività e raffinatezza alla qualità. Chi racconta, chi informa, chi intrattiene ha una grande responsabilità in certi abbrutimenti contemporanei.

Direttore: Ma allora oggi si può ancora parlare di un tradizione gastronomica, valori e storia ad essa collegati è già qualcosa di omologato, seriale e industrializzato?

Alessandro: in Italia, certamente si. E dobbiamo difendere ad ogni costo tutto questo. Noi abbiamo un grandissimo potere: scegliere. Scegliere oggi è una questione di responsabilità. I media dovrebbero dare più spazio alle cucine famigliari e casalinghe che conservano profumi, colori e sapori che solo la nostra terra e il nostro sole, fanno nascere. Per un motivo semplicissimo: sono le ricette di nonne e mamme ad aver fatto grande la nostra tradizione, non quelle degli chef sfornati dai format a stelle e strisce.

Direttore: Non siamo ancora vittime di un grande distributore di cibo industriale quindi, che consigli possiamo dare per premiare la buona cucina, quella tradizionale, quelle rispettosa dell’ambiente, tradizionale, gustosa e sana?

Alessandro: C’è l’imbarazzo della scelta! Ogni regione ha saputo recuperare dalla dieta mediterranea, centinaia e centinai di prelibatezze senza pari. Ogni piccola frazione o paese o grande metropoli conserva un repertorio culinario tutto da esplorare: dalla “miassa” piemontese agli “arancini” siciliani, passando per il panino con il lampredotto toscano, alla pizza al portafoglio partenopea; possiamo assaporare una gamma di esperienze che vanno dalla semplicità, al complesso, dal classico alla rivisitazione in qualsiasi luogo ci si trovi della penisola. Da Vetta d’Italia all’isola di Lampedusa ci aspettano 1291 km di sorprese, profumi e gusti che non estasiano solo i sensi, ma ci raccontano anche un po’ chi siamo.

Direttore: Concludiamo con una tua personalissima ricetta di strada. Quale è la tua preferita e perché la consigli?

Alessandro: Io consiglio vivamente il Km zero.. sempre! Perciò senza fare pubblicità.. per chi facesse una passeggiata a Campo dei Fiori.. c’è la possibilità di imbattersi in un forno dove l’artigianalità è di casa. Un luogo dove da ingredienti semplici e sani, si creano prodotti eccellenti e gustosissimi come la calda e croccante pizza bianca, i d’orati filetti di baccalà o gli insuperabili supplì …

E se accompagniamo il tutto con un calice di Castelli Roma Doc, magari in una bella e soleggiata mattinata di marzo, oltre a trascorrere un’oretta in estasi, ci sarà anche chiaro quanto siamo stati fortunati a nascere qui, in questo unico e bellissimo Paese.


* Tutte le foto di questo articolo sono di ©Mauro Nori