Nel cuore di una Roma che cambia, tra spinte multiculturali e crisi d’identità, si alza forte la voce di chi denuncia un pericolo che molti preferiscono ignorare. Roberto Riccardi, Commissario dell’UDC per Roma e Città Metropolitana, lancia un allarme che scuote: secondo lui, l’Europa sta celebrando il proprio declino mentre rinuncia alla sua cultura e ai suoi valori fondanti. In questa intervista, Riccardi affronta temi scottanti come l’immigrazione incontrollata, il silenzio delle istituzioni, la crisi demografica e il tradimento delle élite. Una visione dura, ma che invita al confronto.
Dott. Riccardi, partiamo da una fotografia dell’Italia di oggi: come descriverebbe il contesto sociale e culturale del nostro Paese nel 2025?
L’Italia del 2025 offre uno spettacolo surreale. In occasione della fine del Ramadan, in molte piazze italiane abbiamo assistito a scene incredibili: donne musulmane relegate dietro reti metalliche durante le preghiere pubbliche. E tutto questo accade sotto gli occhi sorridenti di sindaci di sinistra, che non solo partecipano ma inviano anche messaggi di auguri. Nel frattempo, in quella stessa cultura, ci sono ragazze che vengono uccise dai loro padri per aver scelto di vivere all’occidentale o per essersi rifiutate di sposare uomini imposti dalla famiglia.
E come reagisce l’opinione pubblica e il mondo politico a questi fatti?
La stampa minimizza. Le femministe restano in silenzio o si occupano di cause più comode. È come se l’Europa avesse trasformato la propria dissoluzione in una sorta di spettacolo edificante, applaudendo alla propria scomparsa come se fosse un progresso.
Lei parla di una crisi dell’identità europea. In che senso?
La storia è spietata e si ripete con precisione chirurgica. I Romani, come oggi gli Europei, aprirono le loro frontiere in un momento di debolezza spirituale e culturale. Quando una civiltà smette di credere nella propria superiorità culturale, inizia a morire. E proprio nella dimensione spirituale si manifesta oggi questo esaurimento. Il confronto è impietoso. Da un lato, una Chiesa che con Papa Francesco proclamava “Chi sono io per giudicare?”, rinunciando a qualsiasi pretesa di guida morale o verità assoluta. Dall’altro, l’Islam: monolitico, dogmatico, con la missione divina di sottomettere il mondo alla sharia, che prescrive la morte per apostati e infedeli. Una fede che dubita contro una che conquista. L’esito è scontato.
Parla spesso di “società parallele”. Può spiegare cosa intende?
Invece di creare nuovi cittadini, abbiamo generato enclavi dove vige un’altra legge, un’altra morale, un altro futuro. Proprio come avvenne nei secoli finali dell’Impero romano, accogliamo milioni di persone mentre ci vergogniamo dei nostri stessi valori. È un errore storico: è come se i Romani avessero accolto i Goti proclamando che le loro tradizioni valevano quanto le romane.
Cita anche dati demografici. Perché sono importanti?
Perché i numeri non mentono. Le nostre società hanno tassi di natalità sotto l’1,4 figli per donna, mentre altre culture ne hanno più del triplo. In molte scuole italiane, l’italiano è ormai lingua minoritaria. E il fenomeno non si limita ai numeri: a Monfalcone una lista islamica di soli uomini ha preso il 2,9% alle elezioni e punta a presentarsi in tutta Italia. I suoi leader annunciano che presenteranno liste in tutta Italia. Non praticano la democrazia nelle loro comunità, ma sanno sfruttare magistralmente la nostra per conquistarci dall’interno. Non è tutto, in Inghilterra, a Rotherham, la nuova sindaca ha giurato sul Corano proclamando “Allah Akbar” in municipio. Non in una moschea, ma nella casa civica per eccellenza.
Secondo lei, come stanno reagendo le istituzioni italiane?
Male. Invece di difendere le regole democratiche, sembrano piegarsi. A Roma esistono oltre cinquanta moschee illegali in garage e cantine, raddoppiate dal 2015. E se qualcuno prova a far rispettare le norme urbanistiche, viene accusato di discriminazione. È chiaro: vogliono i benefici della democrazia senza accettarne le regole. Non solo, mentre la demografia scrive il nostro epitaffio, il dibattito pubblico si concentra sui pronomi inclusivi e le piste ciclabili. È il paradosso terminale: la civiltà che ha inventato i diritti universali ora considera “razzista” difenderli.
Qual è, a suo avviso, la colpa più grave della sinistra in tutto questo?
Ha orchestrato il più grande tradimento politico della storia moderna: ha abbandonato la classe operaia per inseguire minoranze identitarie. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: non un operaio tra i parlamentari progressisti, mentre la destra vince nelle periferie industriali. La sinistra sopravvive solo nelle ZTL, fortezze del privilegio dove si predica l’accoglienza illimitata senza subirne le conseguenze.
Un’accusa pesante anche rispetto alla gestione dell’immigrazione…
Non si tratta più di accoglienza. È un business. Salvatore Buzzi lo disse chiaramente: “Con gli immigrati si guadagna più che con la droga”. Le cooperative gestiscono i flussi, i fondi europei arrivano e chi osa dissentire viene subito etichettato come fascista. È un sistema di censura sociale perfettamente oliato. E mentre le élite di sinistra predicano, manipolano il linguaggio per confondere gli italiani: prima erano “clandestini”, poi diventarono “extracomunitari”, quindi “migranti” e ora “rifugiati”. La composizione è sempre la stessa – giovani maschi in età militare – ma il politically correct ha trasformato l’invasione in emergenza umanitaria.
Secondo lei, siamo di fronte a un punto di non ritorno?
Sì. La storia insegna che quando una civiltà rinuncia alla propria identità, firma la propria condanna. Roma pretendeva che i barbari (chi non parlava latino o greco) diventassero romani. Noi ci vergogniamo perfino di proporre i nostri valori, definendoli “colonialismo”. La verità è che stiamo documentando una decomposizione. È un suicidio culturale e demografico, benedetto dalle élite di sinistra.
Lei cita anche una profezia degli anni Settanta…
Certo. Houari Boumediene, presidente algerino, disse: “Un giorno milioni di uomini lasceranno l’emisfero sud per conquistare il nord. Lo faranno popolandolo con i loro figli”. È ciò che sta accadendo. Oggi Maometto è il nome più diffuso tra i neonati in Inghilterra. Non servono più eserciti: la demografia e il nostro stesso lassismo bastano.
Un messaggio finale per i cittadini?
Siamo nel conto alla rovescia. Le proiezioni non mentono: in due generazioni l’Europa sarà irriconoscibile. Non a causa di una guerra, ma per una sostituzione demografica organizzata e mascherata da progresso. Roma almeno cadde combattendo. Noi stiamo applaudendo mentre crolliamo. La domanda non è più se accadrà, ma se qualcuno avrà ancora il coraggio di fermarsi ad ascoltare il campanello d’allarme.