Sabato 3 maggio, alle ore 21, al Teatro Tor Bella Monaca, Uno spettacolo intenso, che con la forza della musica e delle parole vuole percorrere il sottile confine tra giustizia e ingiustizia. Quel confine impalpabile tra amore e dolore, tra la libertà e l’emotività imprigionata. Un viaggio in un universo che obbliga a riflettere su quale sia il vero limite da non oltrepassare.
La storia di Sara
Scappa via fuggendo dal pronto soccorso, i suoi occhi bruciano, colmi di una rabbia muta e di una vergogna che le piega le spalle. Non tollera che qualcuno possa anche solo pensare che quelle ferite, quei lividi violacei sul volto, siano opera di violenza. No, si ostina a ripetere, è solo inciampata, è solo caduta.
La vergogna
Attorno a lei, la vita continua con indifferenza. Un paziente mormora parole rotte in un angolo, mentre un gatto spelacchiato, smarrito e tremante, si aggrappa con le unghie a un’illusione di salvezza. Un infermiere le parla con dolcezza, ma Sara si irrigidisce, si rinchiude nel silenzio ostinato di chi ha troppo dolore per spiegarsi. Nessuno deve avvicinarsi, nessuno deve sfiorare quelle cicatrici, né quelle sulla pelle, né quelle invisibili, scavate nell’anima.
E la paura
E poi, d’un tratto, un brivido. Una vertigine di paura le serra il petto. E se non ci fosse più tempo? E se lei, o quel piccolo compagno randagio, non potessero più vedere la luce, i colori, la bellezza del mondo? Forse quel dolore ha già portato via troppo. Forse sta portando via tutto.
Sara Libera
Il monologo musicale “Sara libera” è un grido, è l’inno sofferto alle donne che si portano addosso la colpa per le violenze subite, come se il dolore fosse un debito da espiare. Sara non è un’eroina, è una donna qualunque. Ama chi la distrugge, si incolpa per ogni pugno, per ogni insulto, per ogni silenzio violento. Ma una domanda crudele resta sospesa, come una condanna: siamo davvero noi la causa del male che ci viene fatto?
Un evento artistico che si colloca nella realtà quotidiana di quelle vite alterate dall’amore malato, dall’appartenenza involontaria ma complice rassegnata e passiva. Un grido di dolore inespresso delle donne vittime di violenza che cercano dentro loro la propria colpa di quello stato di cose insopportabile. Incapaci di accusare il proprio aguzzino e quasi a volerlo giustificare colpevolizzano se stesse, rifugiandosi nell’assurda vergogna di una colpevolezza immaginaria.
Note
di Serena Maffia
con Lucia Ceracchi – Stefano Refolo (tastiere) – Stefano Tedeschi (chitarre)
regia Serena Maffia
Foto: locandina dell’evento